PIETRO GALLEANO LO SCULTORE LIGNEO DEL ROCOCÒ

Il Centro Culturale San Paolo di Genova è lieto di invitarvi Giovedì 12 ottobre alle ore 17.30 presso la Libreria San Paolo di Piazza Matteotti 31-33 r – Genova alla presentazione del libro “PIETRO GALLEANO LO SCULTORE LIGNEO DEL ROCOCO’ GENOVESEdi Maura Donnini

Padre Mauro DE GIOIA coordinatore Ufficio Beni Culturali Arcidiocesi di Genova
dialoga con Maura DONNINI autrice del libro

La pubblicazione, ad opera della storica dell’arte Maura Donnini, è la prima che si occupa esclusivamente di questo grande scultore, che, nonostante all’epoca fosse ritenuto il miglior allievo di Maragliano, e nonostante che le sue opere siano sparse in tutto il territorio della ex Repubblica Genovese, oltreché in Spagna e alle Canarie, è a tutt’oggi quasi sconosciuto.


Figlio di Giuseppe, nacque a Genova nel 1687 . Dopo un apprendistato presso la prestigiosa bottega di Anton Maria Maragliano, nella quale apprese l’arte dello scolpire il legno, rimase probabilmente per un certo periodo presso il maestro il quale, a partire dai primi anni del Settecento, lo dovette impiegare nell’esecuzione di opere da lui stesso progettate. A tal proposito si può ipotizzare l’intervento del G. nella macchina processionale raffigurante S. Consolata comunicata da Cristo, commissionata al Maragliano nel 1704 dai confratelli dell’oratorio genovese dedicato alla santa e attualmente conservata nella chiesa dei Ss. Remigio e Carlo a Cadepiaggio; già ritenuta dal Ratti (1766) “lavoro di Pietro Galleano”, l’opera presenta caratteri formali magniloquenti, estranei al fare del Maragliano. Accanto a questa prima testimonianza dell’attività del G. presso il maestro si possono porre, per identiche considerazioni stilistiche, la cassa processionale con S. Rocco che supplica Cristo e quella con la Visionedi s. Giovanni Evangelista in Patmos, custodite rispettivamente nell’omonima chiesa di Vernazza e nell’oratorio dedicato al santo a Ponzone d’Acqui, assegnate dal Ratti (1762) al Maragliano.


Intorno al 1707 il G. si sarebbe trasferito a Torino, dove avrebbe lavorato “per due anni continui”.; di tale soggiorno tuttavia non sono state rintracciate testimonianze. Più tardi, verso il 1710, il G. aprì a Genova bottega in proprio e tentò di avviare un’attività che, in considerazione delle poche opere documentate, restò adombrata dalla produzione monopolizzatrice del Maragliano. A tale proposito il Ratti afferma che se il G. “si fosse curato d’uscire d’Italia, come più volte glie ne fu presentata l’occasione, non avrebbe terminato in disagi i suoi giorni”.

Con il G. si assiste all’innesto sulla matrice maraglianesca di una magniloquenza formale che se da un lato può spiegarsi come l’estremo risultato dell’emulazione dello stile del maestro, dall’altro coincide con la virata accademizzante comune alla pittura e alla scultura in marmo di primo Settecento. A ciò si aggiungano le esigenze conservatrici della committenza sacra che contribuirono a una sorta di fossilizzazione degli stilemi del Maragliano risolti da parte del G. in accenti linguistici di compassato decoro.

La prima opera documentata del G. è il S. Giuseppe con il Bimbo realizzata con ogni probabilità intorno al 1740-41 per la chiesa di Nostra Signora del Carmelo a San Fernando presso Cadice, dove giunse da Genova nel 1742. Nell’opera, firmata dallo scultore sul basamento, accanto alle suggestioni del Maragliano si scorge un andamento più composto del panneggio “a larghe superfici spezzate da profonde pieghe”. A questi anni risale anche la “statua della Vergine col putto e varii angioletti posta nell’oratorio del carmine” ricordata dal Ratti tra le opere migliori dell’artista. Custodita nella chiesa genovese dei Diecimila Crocifissi, l’opera ripropone uno schema compositivo di invenzione maraglianesca attraverso forme ampie, sode, bloccate in ieratica compostezza. Poco dopo il 1750, in occasione del costituirsi in “casaccia” dell’antica Confraternita di S. Giorgio a Genova, il G. eseguì la cassa processionale raffigurante S. Giorgio che uccide il drago, ora conservata nella chiesa dedicata al santo a Moneglia.

La composizione, imperniata sull’imponente figura del cavallo e sulle contrastanti direttrici delle figure in azione, denota la scelta di uno schema monumentale e di uno stile raggelato impostato su forme arrotondate, ormai divergente dai modi del Maragliano.

Nel S. Antonio da Padova, realizzato dal G. tra il 1756 e il 1760, e conservato nella chiesa di Stella Maris a Imperia-Porto Maurizio, la sacra rappresentazione assume caratteri sempre più accademicamente corretti e decorosi, se non stereotipati. Le altre “nobilissime machine in legno” segnalate dal Ratti (1762, c. 172r) – ovvero quella con le Tentazioni di s. Antonio Abate (indorata nel 1723) e quella con S. Brigida e il Salvatore realizzate per gli oratori omonimi genovesi – sono andate disperse.

Il G. morì a Genova nell’aprile 1761 e venne sepolto nella chiesa di S. Maria della Pace accanto al suo maestro (ibid., c. 172v).

È possibile, sia pur cautamente, riscontrare i caratteri stilistici del G. nella Pietà custodita nella chiesa genovese di Nostra Signora della Consolazione, nell’Angioletto accanto al S. Rocco (opera del Maragliano) nel santuario di Nostra Signora dell’Orto a Chiavari, nella Madonna del Carmine della chiesa di S. Martino d’Albaro, nell’Assunta di S. Marco al Molo, nel S. Antonio da Padova della chiesa di S. Nicolò ad Albisola Superiore e nel Battesimo di Cristo in collezione privata.

(dall’Enciclopedia Treccani)